Selvaggia come la natura

Note di vita di Simona Kossak, strega meravigliosa e protettrice di una delle ultime foreste originarie Europee e dei suoi abitanti

“Nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire.”

Margherita Hack

Autrice del testo: Elisabetta Spina
Editor e illustratrice: Virginia Elena Patrone

 

Parco Nazionale di Białowieża in Polonia[1], 1971: una giovane donna con trecce lunghissime e pantaloni di fustagno passeggia tranquilla nella foresta vergine. Porta nella manica un ratto di nome Kanalia e una femmina di cinghiale di nome Zabka la segue come farebbe un cane domestico, mentre Korasek, corvo nero e ladrone che ama aggredire le persone in bicicletta, risponde ai suoi rimproveri come un bambino dispettoso[2].

 

Simona Kossak, Illustration by Virginia Elena Patrone

 

Quella donna si chiama Simona Kossak e va in giro nella foresta di giorno e di notte, d’estate e d’inverno, perché lei lì ci vive: nascosta nel cuore della foresta riserva naturale di Dziedzinka, in una casa-rifugio costruita all’ombra di un grande albero tentacolare ma senza elettricità né acqua corrente.

Qui vivrà in per più di trent’anni, dimorando amorevolmente in seno alla natura assoluta. O forse accogliendo la natura a prendere dimora in lei:

“Ho varcato la soglia e mi sono ritrovata dalla parte degli alberi e degli animali. Parlo quindi a loro nome. Ho terminato gli studi in Biologia, ma è stato solo negli anni trascorsi nella foresta che ho imparato a capire il linguaggio degli animali. E lo so così bene ora che dovrei essere bruciata sul rogo come strega“, diceva[3].

E aveva ragione. La nostra Storia, di cui è ormai nota la totale mancanza di prospettiva di genere, chiamava le donne come lei streghe, tacciandole di colpa per il solo fatto di non rispondere pienamente al modello femminile dell’epoca alla quale appartenevano; menti brillanti, talvolta scienziate nate in epoche in cui il sapere scientifico era appannaggio maschile (ricordate Aspasia di Mileto o Ipazia di Alessandria?) o più semplicemente donne forti con la responsabilità di avere idee diverse dal contesto in cui vivevano, con la padronanza assoluta della propria libertà e delle proprie energie. Sì, allora Simona era una strega o forse una Grande Madre sciamana che per trovare il suo posto su questa Terra ha fatto una scelta di vita radicale, tutelando la Natura attraverso la sua passione.

Non sempre avere un cognome famoso è garanzia per l’ingresso nel mondo, a volte può rappresentare un ostacolo. Simona era nata nel 1943 a Cracovia ed era figlia, nipote e pronipote di noti pittori polacchi e inoltre i suoi zii erano poeti e scrittori e lei era cresciuta all’ombra della bella e talentuosa sorella Gloria, pittrice e poetessa[4]. Ammetteva sua nipote Joanna che Simona era “il brutto anatroccolo” nella famiglia degli artisti, “Non dotata di talento creativo“, “un topo grigio che nessuno prendeva sul serio. Per fortuna aveva un carattere forte e la voglia di combattere. Più i suoi parenti la ignoravano, più forte diventava il suo desiderio di dimostrare a se stessa e agli altri che valeva qualcosa“. E poi “Amava gli animali fin dall’infanzia. […] Non la soffocavano con le loro ambizioni familiari, erano la salvezza da un mondo pieno di pretese e valutazioni. […] e potrebbe essere stato il rifiuto che Simona ha dovuto affrontare in famiglia sin da piccola che le ha dato forza di scegliere un sentiero non battuto come stile di vita, e che la sua disillusione nei confronti delle persone le abbia permesso di diventare una difensore dei diritti di chi non ha voce[5].

Ignorate le convenzioni della famosa tradizione familiare, decise di vivere a modo suo, lontana dalla pressione che le imponevano. Laureatasi presso la facoltà di Biologia e Scienze della Terra dell’università Jagellonica di Cracovia, conseguì un master in biologia. Dal 1975 fino al 15 marzo 2007, quando si spense prematuramente, lavorò ininterrottamente presso l’Istituto di Ricerca Forestale del Dipartimento delle Foreste Naturali a Białowieża. La sua attività scientifica, che annovera oltre 140 studi scientifici tra cui significativi lavori sull’ecologia comportamentale della fauna forestale, spicca per la sua vocazione fortemente interdisciplinare, in cui la ricerca è strettamente legata alla protezione e tutela della Natura.[6]

Oltre all’aspetto di ricercatrice, leggendo della sua incredibile esperienza di vita viene subito da pensare che qualcosa di trascendente vivesse in lei: da un lato ci si imbatte nel risultato visibile di anni di studio e di esperienza, frutto dell’osservazione e della tutela degli animali selvatici, dall’altro si percepisce la presenza di un dono, una forza sciamanica cresciuta in seno alla cultura scientifica ma poi affrancatasi da essa per sopravvivere e non esserne spiritualmente assimilata ed assorbita.

 

Simona with the sow Zabka: Photo by Lech Wilczek

 

Simona parla con gli animali e per gli animali è come una madre, anzi la Grande Madre delle terre selvagge con il dono divino di guarire corpo e anima con la sua magica energia, l’archetipo primitivo che aveva in sé le somme qualità della creazione e della vita prima di essere relegata al ruolo di madre o sposa o sorella del Dio maschio – come avviene per la religione cattolica- che ne ha assorbito ogni qualità vivifica[7].

Significativa in tal senso è la vicenda del branco di cervi che Simona ha aiutato a crescere per poi andare a vivere nei boschi, i quali, un giorno, esplicitamente la “avvertono” della presenza di un predatore nella foresta salvandola da un pericolo. “Quel giorno ha segnato un passaggio” ha raccontato “Ho attraversato il confine che divide il mondo umano da quello degli animali. […] ancora oggi, quando lo penso, c’è un senso di calore intorno al mio cuore. Esso dimostra come sia possibile l’amicizia con il mondo degli animali selvatici”.[8]

Anche l’episodio dei lupi dimostra come la barriera tra specie possa essere superata: lei nel 1993 inizierà una coraggiosa battaglia per la sopravvivenza dei lupi e delle linci di Białowieża. Infatti, nel 1993 un gruppo di ricercatori del Mammal Research Plant dell’Accademia Polacca delle Scienze progetta di condurre degli studi monitorando lupi e linci del Parco tramite collari trasmettitori, che tuttavia prevedevano violente catture con tagliole e trappole. All’interno della riserva naturale, Simona recupera due di quelle trappole metalliche, le trattiene e si rifiuta di restituirle, venendo accusata dagli studiosi del furto dell’apparato di ricerca[9]. La vicenda venne denunciata alla Procura Regionale di Hojnówka ed alla Seconda Sezione Penale del Tribunale Regionale di Bielsko Podlaskie. Durante l’udienza, in risposta alla domanda su quale fosse la minaccia rappresentata dal metodo di ricerca da lei criticato, Simona rispose: “Ogni animale che cade nella trappola è potenzialmente condannato a morte se la ferita alle zampe è grave. […] è una minaccia letale alla sopravvivenza della lince di pianura, il cui patrimonio genetico è unico in tutta Europa, essendo estinte in altri territori. È una vergogna per il mondo della scienza contribuire a questo[10].

A seguito la denuncia di Simona vennero rimosse le trappole e, secondo una testimonianza rilasciata dalla biologa stessa, poco tempo dopo un branco di lupi, contrariamente alle loro abitudini, si radunò intorno alla sua casa nella foresta, ululando in segno di gratitudine per aver salvato loro la vita[11].

A ciò si aggiunga che Simona Kossak è stata anche una degli ideatori del repulsore UOZ-1, un dispositivo che avverte gli animali selvatici del passaggio dei treni al fine di prevenire e ridurre gli incidenti provocati dal passaggio della linea ferroviaria nelle rotte migratorie di grandi mammiferi della foresta. [12]

La vita di Simona Kossak è testimonianza di una vita fuori dal comune, spesa in nome di una causa che non si radica né esaurisce in interessi individuali come spesso coltiviamo, ma che trae vigore e determinazione da una natura spirituale che trascende gli angusti orizzonti umani. Ci ha lasciato in eredità un importante messaggio: nonostante esercitiamo il nostro potere tecnico su di essa, dobbiamo assumere la coscienza che siamo tutti ospiti temporanei della Natura, del mondo e, più immediatamente del nostro corpo fisico.

E infine, una donna come Simona Kossak, ha lasciato a tutti noi un’eredità molto importante e profonda da cogliere e diffondere: ognuno con il proprio esempio, con la propria vita può fare – e dovrebbe – fare molto. Noi siamo un tassello sì, ma di un quadro immenso e di valore che si chiama Natura e, in quanto tale, abbiamo il dovere e il diritto di vivere secondo i suoi principi, in armonia con il nostro ambiente e con gli animali che lo popolano e lo condividono con noi.

Autrice del testo: Elisabetta Spina
Editor e illustratrice: Virginia Elena Patrone
 

Elisabetta Spina è architetto e docente di Storia dell’Arte. Parallelamente alla sua attività di progettazione e insegnamento, si interessa di rigenerazione urbana in collaborazione con associazioni culturali attive sul territorio napoletano e di studi d’ambito storico-artistico interdisciplinari.

Notes & Tips:

[1] Situata lungo il confine tra la Bielorussia e la Polonia, Białowieża è l’ultimo frammento di foresta vergine che si estendeva su tutta l’Europa Centrale. Per il suo grande valore è stata riconosciuta come Patrimonio Unesco dell’Umanità.

[2] Fondamentale testimonianza fotografica della vita e del lavoro della Kossak è il lavoro del fotografo naturalista Lech Wilczek, cui si rimanda.

[3] https://przekroj.pl/en/culture/a-paradise-called-dziedzinka-zbigniew-swiech

[4] https://infowire.pl/generic/release/741875/wwf-patronem-filmu-o-simonie-kossak

[5]Simone Kossak è il brutto anatroccolo nella famiglia degli artisti“, Agatha Shvedovich dialoga con Joanna Kossak, RAP, 26 febbraio 2017, in https://healthylifepresently.com/it/11520-forest-witch-simone-kossak/

[6] https://www.ibles.pl/-/prof-dr-hab-simona-kossak;jsessionid=3XiBcp6Csbicx1BPgv5ODbf8/en

[7] L’archetipo della Grande Madre “Dea Unica” è legata alla Storia dell’umanità dal per moltissimo tempo, dal 30.000 a.C. fino al 3.000 a.C. ca., mentre successivamente è stata sostituita dalla figura del Dio maschio che ha comunque assorbito in sé le qualità femminili della creazione e del dare la vita, mentre la Dea è stata relegata al ruolo di madre o sposa o sorella del Dio, o come avviene per la religione cattolica di Madre vergine. https://www.archetipi.org/it/mitologia/il-culto-della-dea-madre

[8] Janusz R. Kowalczyk, luglio 2015, https://www.thehumanexception.com/l/simona-kossak/, http://www.shan-newspaper.com/web/astromatta/1783.html

[9] https://www.greenme.it/ambiente/buone-pratiche-e-case-history/simona-kossak-biologa/

[10] https://www.thehumanexception.com/l/simona-kossak/. Purtroppo l’integrità della foresta è stata costantemente sotto minaccia a causa dell’azione umana, vedasi i disboscamenti denunciati nel 2017: https://www.theguardian.com/environment/2017/may/23/worst-nightmare-europes-last-primeval-forest-brink-collapse-logging

[11] https://www.ehabitat.it/2017/04/21/simona-kossak-biologa-visse-nei-boschi/

[12] https://pl.wikipedia.org/wiki/Urz%C4%85dzenie_Ochrony_Zwierz%C4%85t_UOZ-1

Let the Lirinkia begin!

La fine del patriarcato e di tutte le sue parole: tutte le ragioni per cui non dovremmo usare il termine matriarcato, e cosa possiamo usare al suo posto

Patriarcato e matriarcato sono due parole che sembrano speculari, ma che sottendono invece due realtà radicalmente opposte. La parola matriarcato, che è il termine con cui oggi si definiscono determinate tipologie di società non patriarcali, è l’unica parola corretta che esiste per definirle. Ma questa parola, viene spesso fraintesa, e con lei le società che definisce, e per questo mi chiedo se sia giusto continuare ad usarla oppure sia arrivato il momento di creare nuovi termini: perché da nuove parole nascono nuovi mondi, e questo secondo me non va dimenticato.

La parola patriarcato è, negli ultimi anni, entrata nel nostro gergo quasi comune, la sentiamo spesso nominare e la riconosciamo perché è la maniera corretta di definire la nostra società attuale: una società ancora, purtroppo, assai patriarcale.

Se la parola patriarcato oggi è molto riconoscibile, matriarcato è invece un termine che vagola ancora nella nebbia della confusione per la stragrande maggioranza di persone. Il termine patriarcato, infatti, viene utilizzato perché ci si è rese conto che una società che funziona in una maniera patriarcale non sia sostenibile, e che questo sia vero sotto tantissimi punti di vista, per questo la si vuole smantellare: “fuck the patriarchy”, “diamo un calcio nel sedere al patriarcato”, e via discorrendo. Sentiamo continuamente frasi di questo genere. Ma cosa potrebbe esserci, al di là del patriarcato? Possono esistere società non patriarcali?

 
Parole: matriarcato e le società matriarcali

Per chi come me, studia e legge da anni libri che parlano di realtà differenti dal patriarcato, di società altre e non speculari alle organizzazioni patriarcali, sa che queste storicamente e attualmente sono esistite ed esistono ancora oggi. Sono quelle che sono chiamate società matriarcali. La studiosa Heide Goettner Abendroth ha parlato approfonditamente nel suo libro [1] di queste società, le ha definite in maniera chiara e metodica, ed è una lettura che mi è capitato di suggerire a chi domanda se una società, diversa da quelle che conosciamo per esperienza diretta, possa esistere. Uno degli errori su cui ci si imbatte più sovente è però quello di credere che se patriarcato sia una società capata da uomini, il matriarcato sia invece il suo opposto speculare, ovvero una società cui sono le donne a comandare.

Questa confusione avviene principalmente per due motivi: prima di tutto perché le fonti patriarcali parlano di matriarcato filtrandolo attraverso le proprie lenti – quindi fraintendendone la struttura e il funzionamento di una società radicalmente diversa. Secondariamente, il termine matriarcato porta di per sé fuori strada le persone che già non conoscono l’argomento.

 
Ricerca: etimo di patriarcato e di matriarcato

Dal punto di vista etimologico, l’Online Ethimology Dictionary scrive che la parola patriarcato (patriarchy) [2] deriva dal tardo latino “patriarcha” a sua volta derivato dal greco “patriarkhēs” (persona a capo della famiglia) ed è una parola che si forma da padre + arkhein (dove arkhein sta per “legge” e quindi la parola patriarcato assume il significato di “la legge dei padri”,).

Mentre matriarcato, sempre secondo l’Online Ethimology Disctionary (matriarchy) [3], è un vocabolo che è stato creato nel 1881 sulla base della parola preesistente patriarcato, e ne da come significato “il governo della madre o delle madri” e quindi indica un’organizzazione sociale dove la famiglia è formata dalla madre, che ne è a capo, e dai discendenti del lato materno.

Si capisce quindi, soprattutto dal punto di vista etimologico, da dove derivi la confusione sul termine matriarcato: ovvero, la parola stessa porta in errore, soprattutto per come viene definita dalle fonti patriarcali (quali di sicuro On-line Ethimology Dictonary che ho consultato per trovare gli etimi).

 
Origine: l’etimo di matriarcato secondo la filosofa Heide Goettner-Abendroth

Al contrario, secondo la filosofa Goettner Abendroth il termine matriarcato non dovrebbe invece considerarsi etimologicamente come una parola speculare alla parola patriarcato (allo stesso modo in cui non è da considerarsi ovviamente l’organizzazione matriarcale come opposta e speculare ad un’organizzazione patriarcale), ma si dovrebbe andare oltre il bias di trovare il significato di matriarcato opposto a patriarcato, anche perché – scrive la filosofala – la parola arkè (da cui si formano sia patriarcato che matriarcato) ha anche un significato più antico, quello di origine. E quindi, se in patriarcato arkè (arkehin) deve intendersi come “dominio” o “legge”, in matriarcato dovrebbe invece leggersi invece come “origine”, nello stesso modo in cui arkè compone ad esempio la parola archetipo. Quindi, se patriarcato significa “il dominio o la legge dei patri”, matriarcato dovrebbe invece assumere il significato di “all’origine le madri”, cosa che per altro ha senso sia dal punto di vista biologico che per spiegare l’essenza di una società matriarcale.

Tutto bene sino a qui. Però la domanda che mi sorge spontanea è questa: è giusto dare un nuovo significato a una parola che era originariamente nata con un intento diverso, come ha fatto Goettner Abendroth appunto con matriarcato?

Questa parola, matriarcato, nonostante delinei – come si capisce dopo aver letto la definizione data da Goettner Abendroth – in maniera giusta e sintetica una società matriarcale, purtroppo è una parola che ha portato nel tempo a diversi fraintendimenti. La maggior parte delle persone non sanno infatti cosa significhi matriarcato: una società matriarcale, non è una società dove le donne comandano sugli uomini, come sono portati a pensare coloro che non approfondiscono l’argomento. Una società matriarcale è invece una società egalitaria e pacifica, che si basa sul rispetto reciproco della diversità e dei bisogni di ciascuno, soprattutto delle minoranze; è una società che rispetta tanto le donne quanto gli uomini, dove la natura è sacra, ed organizzata in maniera differente rispetto alle società patriarcali.

Questa differenza alla base che c’è tra matriarcato e patriarcato, non è secondo me evidenziata abbastanza dalla parola matriarcato, perché è facile che questo termine porti ad un’erronea conclusione. Dopotutto, Goettner Abendroth ha trovato la soluzione di adattare la parola matriarcato in modo che rispecchiasse la tipologia di società che è, ma questo vocabolo esisteva già prima del suo libro, ed era una parla nata in maniera speculare a patriarcato, quando ancora erroneamente si credeva che il matriarcato fosse il regno e il comando delle donne sugli uomini (in realtà, credo che il dominio delle donne sugli uomini non dovrebbe chiamarsi matriarcato, ma pur sempre patriarcato).

 
Dubbio: famiglia etero normativa e società matriarcali

Un’altra domanda mi sorge spontanea: queste due parole, matriarcato e patriarcato, sono speculari anche perché ci fanno pensare alla famiglia etero normativa, quando nelle società matriarcali, la famiglia “classica” così come la intendiamo noi oggi, non esiste. I padri, addirittura, nelle società matriarcali, molto spesso non hanno obblighi sui figli biologici o non li conoscono neanche, figli che sono a tutto e per tutto parte dei clan materni. Invece che sapere se una società è “di padri o “di madri”, sarebbe secondo me molto più interessante indagare su come le società matriarcali definiscono loro stesse, e se lo fanno: per noi, dopotutto, figlie della mentalità occidentale è normale cercare di dare un nome a tutto, e di racchiudere all’interno di un recinto ogni idea, ma questo potrebbe non rispecchiare la mentalità matriarcale, perché per loro essere matriarcali potrebbe essere l’unico modo possibile, o l’unico che conoscono.

 
Necessità: parole nuove per mondi nuovi

Il matriarcato esiste, è esistito storicamente, e quindi è possibile. Oggi per noi, figlie e figli di una società patriarcale, sapere che altri modi di vivere e pensare siano plausibili e immaginabili ci da quanto meno la speranza che sia possibile anche per noi vivere in maniera differente. È importante parlare di matriarcato, perché offre una prospettiva concreta su cui poter plasmare il nostro futuro.

Allo stesso tempo credo che, alla base di un nuovo mondo serva un nuovo modo di parlare, che sottende anche un modo diverso di pensare. La parola matriarcato è una parola composta da parole latine e greche: ho il dubbio che utilizzare una parola che nasce da due lingue patriarcali non sia indicato per definire una società che patriarcale non è. Per definire il matriarcato io vorrei una parola che mi facesse capire che:

 

“questa società è una società di persone libertarie e pacifiche, amanti del mondo naturale, una società che fa sì che chiunque vivendo al suo interno possa fiorire della forma e del colore di cui è fatta la sua essenza. Ogni persona è diversa e libera, è supportata dalla comunità sempre nel rispetto reciproco, e nessuna si sente diversa perché tutte lo sono tra di loro.”

 

Quando penso a questo, mi viene alle labbra una parola, che non ha ancora senso per noi ed è però una parola divertente. Mi sembra sia perfetta: la parola è Lirinkia.

Da oggi definirò così le società matriarcali, e nessuno mi capirà ma io saprò quello che voglio dire, e non parlerò con delle parole nate da menti patriarcali, ma sarà scaturita dal cuore di una donna anfibia che crede  negli uomini e nelle donne e negli libere, negli animali – sempre, e soprattutto in madre terra. Una donna che sa che la diversità è ricchezza per tutte.

 
Viva Lirinkia: perché dalle parole nuove nascono i nuovi mondi!

Di Cosa Parliamo Quando Parliamo Di Ecofemminismo

Questo articolo è scritto da Virginia Elena Patrone per Matrika, pubblicato il 26 febbraio 2024.


L’ecofemminismo è un ramo del femminismo che include nelle sue lotte anche i diritti della natura: quando si parla di ecofemminismo, stiamo descrivendo una lente con la quale osservare la realtà intorno a noi, e attraverso la quale tutte le gerarchie che siamo abituate a considerare “normali” (sia quelle di cui ci accorgiamo, sia quelle che ancora non riusciamo invece a scorgere) immediatamente si frantumano. È una lente molto bella e potente, che è in grado davvero di mandare in pezzi la sistematicità che porta avanti anche la nostra stessa vita quotidiana.

Infatti, indossando questi occhiali … Puoi leggerlo qui –> Matrika